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domenica 19 febbraio 2012

Relativismo: un bene o un male?


La Chiesa degli ultimi anni si è sempre scagliata contro il relativismo e, d'altra parte, il rifiuto di una verità assoluta rappresenta per qualsiasi credo una sorta di antitesi.
Molto spesso nel discutere con persone aderenti ad un credo (per lo più cattolici, ma d'altra parte siamo in Italia), la lotta al relativismo pare divenire una (delle tante, sia chiaro) giustificazione all'esistenza stessa della religione, intesa come ente conservatore o addirittura detentore di morale ed etica, cui la comunità a sua volta deve aderire per essere tale.
E' questo un discorso assai pericoloso, un ribaltamento della logica che può, se perseguito, portare ad aberrazioni insostenibili e di certo condannabili, come del resto la Storia ci ha mostrato in varie occasioni, tra le quali, mi piace ricordare, le grandi epurazioni operate dalla chiesa nell'epoca delle eresie (Catari ecc). 
Buddah di Bamiyan 
Ogni tentativo di imporre la verità assoluta è miseramente fallito, sempre. Persino sterminando intere culture una parte di esse è riuscita a perdurare nascondendosi o mascherandosi nella nuova cultura dominante, fino a quando l'azione corrosiva del tempo ne ha disseppellito i resti, rendendo, seppur parziale, giustizia. 
Oggi, nel mondo globalizzato, tutto ciò si impone in modo perentorio. Esempio clamoroso fu l'abominio perpetrato a danno dei Buddah di Bamiyan la cui distruzione ebbe ampia eco (probabilmente i più vennero a conoscenza di tali meraviglie proprio a seguito dell'azione dei talebani), seguita da un'ondata di indignazione che mise in cattiva luce l'Islam e i suoi seguaci più esaltati.
Ritornando al ragionamento, è comprensibile dunque che la religione lotti contro il relativismo, non che trovi giustificazione a sé stessa.
Anche perché, come precedentemente esposto, non è affatto vero che i principi etici e morali siano stati dettati o meglio, rivelati dalla religione: è vero invece (assai probabilmente), esattamente il contrario. La religione, infatti, e intendo qualsiasi religione, non ha fatto nient'altro che ufficializzare dotandole di attributi   divini, le regole di una data società. Le prove di ciò sono molteplici. Innanzitutto, alcune di tali regole sono a tutti gli effetti norme senza le quali sarebbe impossibile una qualsivoglia forma di convivenza (non uccidere, non rubare ecc). In secondo luogo perché tali regole, paradossalmente, sono spesso contrastanti con altre dettate dalla medesima religione. L'Antico testamento è piuttosto esemplificativo. Al non uccidere, scritto sulle celebri tavole, segue tutta una serie di norme che prevedono l'omicidio come pena, combinata anche per "reati" piuttosto curiosi (masturbazione!). E' piuttosto ovvio che la prima sia una regola di massima, una sorta di principio costituzionale cui le regole del vivere comune devono tendere. Le altre, quelle specifiche, il celebre occhio per occhio, nonché gli esempi incarnati dalla divinità vendicativa veterotestamentaria, sono invece dettate dalle esigenze (spesso auto giustificative) del momento di detta comunità.
Indios
Nell'articolo più letto di questo mio blog ho ragionato su quanto la morale sia, di fatto, diversa tra popolo e popolo: la nudità, finanche l'esibizione della sessualità, fonte di scandalo presso alcune culture è, ad esempio, normalità presso altre. A determinare dette regole morali, sono comunque e sempre le esigenze. Posso supporre che in civiltà primitive la nudità possa non essere fonte di disturbo per adattamento a motivi che possono andare dalla difficoltà di fabbricare vestiti, al clima, fino a convenzioni sociali. Quelle popolazioni non si pongono il problema della nudità, motivo per cui nemmeno la loro religione la definisce tabù. Tabù che colpiscono invece momenti particolari della vita, quali il passaggio all'età fertile o per le donne il periodo delle mestruazioni o quello post parto, a differenza della nostra, ove nessuno si sognerebbe mai di allontanare la donna dall'abitazione nel periodo del ciclo. 
Quindi la religione non può trovare una giustificazione alla propria esistenza nella lotta contro il relativismo, poiché, benché tendente per sua costituzione a concetti assoluti è essa stessa relativa a sé stessa (essendo emanazione dei bisogni della comunità) e relativa rispetto ad altre religioni, non essendoci al mondo un'unica religione..
Ciò, tuttavia non toglie che anche il relativismo più spinto possa essere deleterio e vada combattuto; in tal senso andrebbe riconosciuta alla religione la sua parte di merito. Se tutto fosse relativo il rischio sarebbe che ognuno possa trovare giustificazioni delle proprie azioni adducendo ad una propria morale. 
Nulla da ridire. Se fosse così.
Senonché nell'ipotizzarlo entreremmo a tutti gli effetti nel campo della fantasia.
La realtà è che il relativismo non è né bene né male, ma un dato di fatto. E' come giudicare la natura: un assurdità. Il relativismo esiste e perdura attraverso equilibri , che variano al variare delle esigenze della società. La principale opposizione al relativismo, ovvero che la sua oggettività è negata dalla sua stessa definizione (in altre parole, il fatto che tutto sia relativo è un affermazione assoluta, che quindi fa decadere l'idea che tutto sia relativo) è di fatto una mera questione filosofica che però si scontra con la realtà delle cose. Il relativo è misurabile proprio in quanto tale, l'assoluto non lo è per definizione: di fatto, quest'ultimo non può che rimanere confinato nell'ideale, mentre il relativismo trova conferme anche nel reale; siamo evidentemente su  piani diversi, concepibili come univoci solo attraverso il pensiero (come altri concetti, quali "infinito", "nulla" ecc), ma non riscontrabili nella realtà.
Giudicare il relativismo come bene o male è sbagliato: è un dato di fatto.
Sarebbe come giudicare la bontà o la malvagità della Natura, sono parte di questa, punto.

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