Vincente del Bosque Gonzales |
Il calcio è uno sport troppo miliardario e quindi in vendita per poter ancora emozionare fino in fondo. Che emoziona infatti, raramente è un gesto tecnico e atletico: al limite, è la vittoria in se stessa che emoziona, in quanto vincono i colori della propria bandiera.
Il mondiale sudafricano può essere considerato, in un certo senso, una riprova di quanto sopra esposto. Le partite, con le dovute eccezioni, sono state mediamente "bruttine", dettate più dalla paura di perdere che dalla voglia di vincere. La stessa finale, vinta dalla Spagna non ha offerto un grande spettacolo: tanto fraseggio degli abili palleggiatori spagnoli, azioni di rimessa condite con vergognosi falli da parte degli Orange, il tutto illuminato saltuariamente da qualche azione veramente pericolosa. Se la Spagna ha vinto meritatamente è semplicemente perché ha tenuto in mano le redini della partita, ma se avesse vinto l'Olanda, il merito sarebbe stato il cinismo con il quale la nazionale dei Paesi Bassi avrebbe sfruttato almeno una delle due occasioni. D'altra parte anche lo scorso mondiale il merito dell'Italia campione fu quello di non perdere la testa e di vincere ai rigori una partita dominata dai Francesi.
Perché dunque emozioni (non) calcistiche? Perché a mio avviso la più bella immagine del mondiale è stata data dall'allenatore dei neo campioni, Vicente del Bosque, e nella sua paterna e umanissima richiesta di far alzare al figlio Alvaro, affetto dalla sindrome di Down, la Coppa del Mondo.
Quel gesto, quasi normale, in un solo colpo è riuscito a commuovere un'intera nazione e a far ritornare il calcio uno sport con dei valori, dando un significato più profondo al titolo di Campione del Mondo.
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