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martedì 17 luglio 2012

La gratitudine non rende


"Non me ne fotte un cazzo. 
Se lui è il presidente del Consiglio o, cioè, è un vecchio e basta.
 A me non me ne frega niente, non mi faccio prendere per il culo. 
Si sta comportando da pezzo di merda pur di salvare il suo culo flaccido.
 Giusto che si faccia sentire lui se non lo farà mi comporterò di conseguenza... 
quel briciolo di dignità che mi rimane la voglio tenere... 
visto che lui non mi ha chiamato...
 gli faccio prendere paura. 
Quando si cagherà addosso per Ruby chiamerà e si ricorderà di noi, 
adesso fa finta di non ricevere chiamate"

Qualunque cosa succeda nel centro destra tutti devono sottostare al padrone: questione di gratitudine. 
La gratitudine viene prima di tutto, persino delle proprie idee, della propria identità, dell'onestà intellettuale. 
Quando Sara Giudice, allora ancora nel PdL levò le sue critiche sulla la candidatura blindata della Minetti, ovvero la brava ragazza di madrelingua inglese, esperta in materia sanitaria (sic) nonché angelo di Don Verzè, fu attaccata dai giornali vicini al cavaliere e tacciata di ingratitudine. 
Ancor prima, quando ormai il puttanificio di Arcore, era talmente evidente e imbarazzante che la signora Lario non poté tacere nel definire le allegre ragazzotte che attorniavano il marito "ciarpame senza pudore", la stampa filo Berlusconi la attaccò con ogni mezzo tirando fuori immancabilmente il concetto di ingratitudine. 
Ora, è il turno della Minetti, indecisa sul da farsi, se lasciarsi mettere o meno da parte per favorire l'ennesimo scandaloso lifting politico del Cavaliere. 
Ma anche l'Alfano senza quid, ributtato in seconda linea, non è minimamente scocciato, perché prima di tutto, ovvio, c'è la gratitudine. 
Tutti sono grati al Cavaliere, perché senza di  lui, non sarebbero nessuno.
In realtà la gratitudine, persino quella vera, non sarebbe comunque sufficiente affinchè un nessuno diventi qualcuno: intimamente costoro rimangono delle nullità messe lì per gratificare l'ego del Capo. 
La loro essenza non muta, sono bottiglie vuote cui è stata messa un etichetta: appena le si stappa ci si rende conto dell'inutilità, e delle bottiglie, e delle etichette, nonché ovviamente, della truffa dell'etichettatore.
Questa gratitudine non può rendere alcunché. 
Soprattutto non è in grado di rendere dei servi, uomini liberi.

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