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giovedì 2 luglio 2009

Il Coraggio di Giudicare





«Sii sempre pronto a dire quello che pensi, e il vile ti eviterà»
William Blake


Ho sempre sostenuto l'importanza del Giudizio, base a mio avviso dell'intera evoluzione del pensiero umano. Non si può pensare senza giudicare, checché ne dicano i benpensanti, i tolleranti, quelli che "io non mi permetto di giudicare nessuno".
Il Giudizio come dicevo, è la base su cui poggia l'intelligenza, sebbene non debba confondersi con la stessa: abbiamo giudicato per il nostro bene ciò di cui era meglio nutrirsi, come farlo, come vestirci, come comportarci ed è in base al giudizio che si è creata l'esperienza e da essa il progresso.
Illudersi di non giudicare è un ipocrita follia, un negare la propria essenza, una menzogna che raccontiamo a noi stessi, e non si capisce bene per che cosa. Dov'è il problema nel giudicare? Quale contorto pensiero decadente ha tolto la dignità al Giudizio?
Eppure nell'odierna società, figlia del perbenismo del buonismo e di tutti i maledetti "ismi", il Giudizio viene stigmatizzato, rigettato quasi fosse un tabù: "Ma come ti permetti di giudicare?"; "Chi sei tu per giudicare?".
Stolti! Non è il Giudizio che dobbiamo temere ma la Sentenza. Il Giudizio infatti, non è per sua natura definitivo, può essere superficiale (se ci si limita a raccogliere solo qualche dato), approfondito, controverso. La Sentenza è unica, definitiva, dovrebbe essere la summa dei giudizi raccolti in un'epoca, da una società o dalla Storia. Persino le sentenze del tribunale, e proprio per questi motivi, sono a nome di un popolo e non dell'individuo.
Ci sono tre possibili spiegazioni a questo rifiuto del giudizio: la paura, l'ignavia e l'ignoranza.
La paura, perché oggi si ha paura ad esporsi, c'è un qualunquismo esasperato, un assoggettarsi al pensiero dei più per paura di apparire diverso. La paura di essere la voce fuori dal coro, di non voler dire, vedere e sentire. Come tanti cortigiani che vedono sfilare il re nudo, a tessere lodi ad abiti inesistenti, pizzi immaginari, impalpabili velluti, per paura di dover sostenere la verità. La paura di dover agire, poiché emesso un giudizio, per coerenza bisognerebbe lottare per ciò che si ritiene giusto o per combattere e cambiare ciò che si ritiene sbagliato.
L'ignavia, o letteralmente mancanza di volontà e forza morale. Nella decadenza di questi tempi si preferisce lo status quo, quasi si sia arrivati ad un livello di civiltà accettabile. Non si vedono possibili miglioramenti e quindi ci si ferma. "Anche se giudico cosa cambia?", "Cosa può il mio giudizio?".
Nulla se non viene emesso e vissuto. Non a caso il Sommo Poeta definì gli ignavi, giudicandoli, "sciaurati, che mai non fur vivi".
L'ignoranza infine, dell'inconsapevole, che ha giudicato se stesso troppo ignorante per poter sostenere un giudizio. E così pur avendo giudizi non li riconosce tali, e magari si bea persino di non cadere nella trappola di doverli emettere. L'ignorante che disconosce la differenza tra Giudizio e Sentenza, che salta il primo per emettere la seconda, definitiva, sulla propria dignità. E si badi a confondere l'ignorante con il semplice o con colui che non ha cultura, poiché il giudizio è insito nell'uomo. L'ignorante di cui parlo è colui che ha deciso di essere ignorante della propria stessa essenza, indossando la maschera meschina del perbenista, del finto tollerante, di colui che crede di essere ancora nel giardino dell'Eden, ignaro del bene e del male.


3 commenti:

alfredo ha detto...

Colgo l’occasione per farle notare la lieve problematicità dell’affermazione: “l'ignoranza infine, dell'inconsapevole, che ha giudicato se stesso troppo ignorante per poter sostenere un giudizio”, giudizio che il soggetto in questione dà su se stesso in modo veritiero, lei infatti ha aperto il periodo con lo stesso assunto: e cioè che il soggetto in questione è un ignorante. Altra cosa: “si badi a confondere l'ignorante con il semplice o con colui che non ha cultura”, non ho ben capito cosa intendesse, ma l’ignorante in effetti è il semplice cioè colui che non ha cultura. Piuttosto l’ignoranza non può essere accavallata con la stupidità, poiché quest’ultima è agli antipodi dell’intelligenza, non della conoscenza. L’ignorante può essere infatti una persona molto intelligente, così come lo stupido può essere una persona di una certa cultura. Per il resto non saprei trattare la questione dell’assenza di giudizio, o meglio, non capisco fino a che punto essa possa essere spostata all’indietro; ma temo all’infinito. L’esempio più lampante è quello dell’agnosticismo, che rappresenta per eccellenza la sospensione del giudizio su questioni religiose, in sostanza perché l’agnostico riconosce la carenza di mezzi a sua disposizione allo scopo di valutare simili questioni. In realtà, compiendo una pericolosa acrobazia logica si può dire che l’agnostico giudica di “non poter giudicare” su detta questione (forse era questo che intendeva nella parte finale del post…) . Ma fino a che punto può reggersi in piedi una cosa simile? Non perchè manchi di un senso, ma perchè è troppo complicata...

Unknown ha detto...

Ammetto, ahimè, lo stile ridondante. Quando ero studente riuscivo a gestire meglio lo stile, oggi il poco tempo (e la disabitudine) mi costringe a frettolose composizioni che correggo, nel tempo, man mano che le rileggo. Ciò che volevo dire in quella prima frase è meglio specificato nei periodi successivo.
L'Ignorante cui faccio riferimento è quindi una persona che rifiuta la conoscenza, è cioè colui che pur avendo i mezzi per ottenerla non la cerca, o pur possedendola non la mette a frutto. Nella sua ignoranza giudica, ma non riconosce il suo giudicare. Di fatto è riconducibile ad una sorta di Stupido come ha giustamente dedotto lei.
Riguardo l'agnostico, secondo la mia linea di pensiero, egli giudica ma sospende la sentenza, avendo espresso la convinzione di non avere elementi sufficienti. Il giudizio infatti, come detto, è cosa mutevole mentre la sentenza dovrebbe essere definitiva.
Ritornando all'agnostico, non trovo vi siano acrobazie logiche. Per lo meno non per quegli agnostici che si curano comunque del divino, coloro i quali cioè, pur in sospensione di giudizio definitivo (per ignoranza), sono da esso attratti e di esso, intelligentemente, sono alla ricerca (indipendentemente dagli esiti, ovvero che Dio esista o meno: ciò che nobilità, in questo caso, non è il risultato ma la cerca, il tentativo di superamento dell'ignoranza).
Questo quindi escluderebbe gli agnostici (almeno questi descritti) dalla tipologia di soggetti citati nell'ultima frase. Più semplicemente mi riferivo quegli individui, e immagino anche lei ne avrà incontrati tanti, che per banale perbenismo si vantano di non giudicare ("Non mi permetterei mai di giudicare"; "Chi sono io per esprimere giudizi?"), dimenticando che ogni azione è frutto di un giudizio o volutamente negando un giudizio di fatto, in cuor loro, espresso.

alfredo ha detto...

sono d'accordo, il giudizio in realtà c'è sempre, e negandolo, appunto come dicevo, si rischia di spostare indietro la questione all'infinito. Se infatti non si hanno sufficienti elementi per giudicare allora è necessario giudicare di non averli. Per il resto direi che si tratta di perbenismo, o di una errata concezione della realtà.

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