O Captain! My Captain! our fearful trip is done;
The ship has weather'd every rack, the prize we sought is won;
The port is near, the bells I hear, the people all exulting,
While follow eyes the steady keel, the vessel grim and daring
But O heart! heart! heart!
O the bleeding drops of red,
Where on the deck my Captain lies,
Fallen cold and dead.
Sono certo, già nel digitare le prime lettere di questo scritto, che finirò inevitabilmente per essere retorico. Ebbene poco importa: a volte la retorica è necessaria, soprattutto se vi sono in essa contenuti e se non assume, la retorica, la valenza di sinonimo di vacuità.
Comincio col svelare che questo post si ispira ad una frase che sta godendo di una certa quanto meritata fama: è lo sbotto del Comandante della Capitaneria di Porto di Livorno, De Falco, nei confronti del comandante della Concordia, la nave incagliatasi sui fondali dell'isola del Giglio, Schettino.
Mi riferisco a quel "Vada a bordo, cazzo", detto da un ufficiale normale, con quel linguaggio un po' rozzo, da caserma, più che mai adeguato allo stato di rimbambimento del Capitano Schettino.
Quest'ultimo è divenuto, e aggiungerei meritatamente, l'uomo più odiato del momento, un simbolo suo malgrado, della parte più oscura dell'italianità. Lo è davvero? Non lo so. Il fatto che lo sia divenuto, forse meritatamente, non significa per forza che lo sia: è stato etichettato per ciò che ha fatto, da una giustizia sommaria, ma non per forza meno giusta, tipica del popolo, e che sia questo della rete o della strada, o dei palazzi, poco importa. Che invece Schettino lo sia davvero, il simbolo negativo dell'italianità è fortunatamente tutto da dimostrare; anzi, in cuor mio spero, si possa provare l'inconsistenza di tale (pre)giudizio.
Lungi da me difendere l'indifendibile, beninteso, tuttavia non si può non concedere, seppur con rammarico, che nel comportamento di Schettino più che dell'italianità vi siano tutti i sintomi della debolezza e della miseria tipica della nostra razza (umana).
Lungi da me difendere l'indifendibile, beninteso, tuttavia non si può non concedere, seppur con rammarico, che nel comportamento di Schettino più che dell'italianità vi siano tutti i sintomi della debolezza e della miseria tipica della nostra razza (umana).
In realtà, e questo non si può negare, che l'italianità odierna c'è tutta in questa vicenda e si trova in quel vizio di trasformare in eroe chi eroe non è, ed anzi altri non è che l'antonomasia della normalità, ovvero l'uomo che si assume le proprie responsabilità e si attiene ai suoi doveri.
Purtroppo, siamo in un epoca triste dove il furbo ha vita facile a scapito dell'onesto, dove la correità diviene sinonimo di innocenza, dove l'essere si confonde con l'avere e assume valore attraverso il sembrare. Una vile epoca di vili, per cui il vile pare solo colui che manca perché ha mancato, mentre si stenta a riconoscerlo nei suoi sintomi di balorda supponenza, quando l'errore deve ancora manifestarsi in tutta la sua tragedia.
Siamo pieni di potenziali Schettino, di derelitti incapaci cui da stolti ci siamo lasciati e ci lasciamo cullare su finti materassi di piume, per poi svegliarci abbandonati tra rovi pungenti.
E dunque? Cosa dobbiamo fare? Qual è il nostro compito? Rimanere a discutere, per lo più con ipocrita moralismo, del falso eroismo dell'uno o della miseria dell'altro? Crearci falsi miti anelandone la normalità (o, peggio, identificandoci) e ammettendo così implicitamente la nostra pochezza? Generare mostri a cui cedere volentieri quel lato oscuro che noi stessi, rifiutandolo con sufficienza e falso sdegno, ammettiamo colpevoli o temiamo nostro malgrado di possedere?
O forse è venuto il momento per tutti di ascoltare cuore e ragione, di raccogliere a due mani il coraggio per affrontare errori e orrori, di cui è colpevole ognuno, chi più chi meno, di risalire a bordo e, cazzo, coordinare insieme il salvataggio di noi stessi
La barca può anche affondare, trascinandosi dietro la sua macabra scia di cadaveri gonfi, la stupidità e la miseria dei tanti Schettino, può inquinare il mare, stuprare la beltà delle coste, ma non può e non deve alienarci alla nostra essenza di Uomini e ai valori che ci rendono tali.
Altrimenti saremo più morti dei morti.
Siamo pieni di potenziali Schettino, di derelitti incapaci cui da stolti ci siamo lasciati e ci lasciamo cullare su finti materassi di piume, per poi svegliarci abbandonati tra rovi pungenti.
Siamo in un epoca dove mancano i punti di riferimento, dove mancano i comandanti, non tanto quelli normali come il buon De Falco, ma quelli pronti a morire per noi, quelli per cui piangere, salvi, innalzando i celebri e quanto mai pertinenti versi cantati da Withman.
O forse è venuto il momento per tutti di ascoltare cuore e ragione, di raccogliere a due mani il coraggio per affrontare errori e orrori, di cui è colpevole ognuno, chi più chi meno, di risalire a bordo e, cazzo, coordinare insieme il salvataggio di noi stessi
La barca può anche affondare, trascinandosi dietro la sua macabra scia di cadaveri gonfi, la stupidità e la miseria dei tanti Schettino, può inquinare il mare, stuprare la beltà delle coste, ma non può e non deve alienarci alla nostra essenza di Uomini e ai valori che ci rendono tali.
Altrimenti saremo più morti dei morti.
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