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venerdì 17 dicembre 2010

Riconoscere l'ignoranza

E' difficile riconoscere l'ignoranza, perché in fondo siamo tutti un po' ignoranti. 
Anzi, l'intelligenza ci permette di capire che più si conosce e più si ha la dimensione della propria ignoranza. 
Vi è però un altro tipo di ignoranza che è legato a doppio filo alla stupidità, ed è quella di arrogarsi il potere di dare dello stupido o dell'ignorante a qualcuno partendo dall'assunto che noi siamo gli intelligenti.
Qualche giorno fa, parlando della situazione dell'azienda in cui lavoro, alcuni colleghi hanno espresso lecite perplessità sulla condotta della Direzione. 
Lecite, in quanto è assodato che in un  paese libero si ha diritto di opinione e conseguentemente di critica, al di là dunque, della reale consistenza delle critiche stesse. Come si dice, opinioni e, come tali, opinabili.
Ciò che invero mi infastidiva del discorso non erano tanto le critiche, che peraltro non mi toccavano e che in parte condividevo, quanto la vanità, o se vogliamo l'arroganza di coloro che affermavano che, se fosse stato per loro, alcune cose non sarebbero mai accadute. Costoro, non si rendono conto di vedere solo la parte finale di un lungo percorso che con molta probabilità non avrebbero nemmeno avuto facoltà di cominciare. Troppo comodo ergersi critici quando non si conosce, quando si ignora.
Anzi è oggettivamente da stupidi.

Questa lunga premessa per introdurre alcune dichiarazioni del vescovo emerito di Foligno, tal Monsignor Arduino Bertoldo, il quale con la sagacia tipica degli uomini di chiesa si addentra nel delicato tema della violenza sessuale:
Viviamo nel tempo in cui tutto sembra permesso, tutto pare lecito e in cui le regole etiche svanite nel nulla, persino il buon senso, la prudenza
Nulla da dire senonché quando a dirlo è un uomo di chiesa ci si può aspettare di tutto, soprattutto quando si addentra a parlare di etica di un tema che non vive, o non dovrebbe vivere, ovvero il sesso.
Infatti non appena si addentra nel problema, alla domanda dell'intervistatore (un cattolico oltranzista) che chiede se nel caso di violenza sessuale la colpa sia sempre da attribuire al violentatore, mons. Bertoldo risponde così:
Premesso che la giustizia in casi del genere deve fare il suo corso e condannare il colpevole, va detto che alcune volte esiste una mancanza di prudenza anche da parte delle vittime. (Se, infatti) esiste una libertà incoercibile a vestirsi come si vuole nel limite della decenza e questa libertà di scelta va rispettata e tutelata dalla legge e dalla educazione. Ma per altro verso, esiste una sana logica di buon senso: io non camminerei mai in un quartiere noto per le rapine con un collier di diamanti alle tre del mattino, salvo assumermi responsabilmente il rischio della rapina. Allo stesso modo chi accetta di correre questa evenienza merita pietà se subisce violenza, ma in un certo senso ha peccato di prudenza. Ricordo, poi, che esistono delle attenuanti etiche.
Ecco servita la solita misoginia clericale per cui alla fine la colpa è in qualche modo anche (o soprattutto) della donna. Prima di fare la consueta disamina, vorrei far comunque notare che la domanda dell'intervistatore, in quanto palesemente retorica e tendenziosa, include gli stessi pregiudizi (o idiozie se mi è permesso) che si evidenziano nella risposta, sintomo di una vera e propria forma mentis di un certo tipo di credenti.
Di fatto, la domanda include, sottintendendola nella retorica, una giustificazione che la risposta poi, di fatto, introduce. Colpevole sarebbe dunque la scarsa prudenza della donna, che pur nella libertà di vestirsi nel limite della decenza, e già si immaginano i limiti, dovrebbe impegnarsi a nascondere la propria bellezza quasi sia un gioiello da mettere o dismettere. 
A questo emerito...monsignore, vorrei ricordare che la violenza sulle donne, spesso avviene tra le mura domestiche, tra parenti, vicini, ex fidanzati. Non solo: qui non si tratta dell'opportunità o della "logica del buon senso" di andare in giro con collier di diamanti, ergo, mostrando le proprie grazie, ma semplicemente di poter andare in giro da sola, dovendo passare in luoghi non per forza frequentati e, magari, non per forza sicuri. 
Ciò che emerge dai discorsi del prelato è gravissimo: egli infatti non solo accetta l'idea che alla provocazione di una donna si possa rispondere con uno stupro, ma addirittura offre attenuanti che ha il coraggio di definire "etiche"! Infatti continua dicendo:
Se una donna cammina in modo particolarmente sensuale o provocatorio, qualche responsabilità nell'evento la ha e voglio dire che, dal punto di vista teologico, anche tentare è peccato. Dunque anche una donna che camminando o vestendosi in modo procace suscita reazioni eccessive o violente, pecca in tentazione.
Non è una novità purtroppo. Ne avevo già parlato proponendo il testo del Manuale del Confessore, riguardante il VI° comandamento, un testo del 1800 che certifica come la mentalità della Chiesa non sia cambiata poi di molto, almeno, ed è onesto sottolinearlo, per quanto riguarda certi soggetti. Il testo infatti avvertiva nei riguardi dell'abbigliamento femminile (non vi erano accenni a peccati derivati da abbigliamento maschile non consono, allora i gay li mettevano a morte):
le donne sono sempre molto più degli uomini proclive verso questo genere di peccati e perché attirando colla loro toeletta gli sguardi degli uomini, offrono ad essi occasione di spirituale rovina
anche se è proprio sulla violenza (ratto e stupro) che raggiunge il massimo della misoginia e dell'idiozia, e a tal punto vi invito a leggere quanto scritto nel post, del quale riporto brevemente il fatto che, preoccupazione della chiesa non è tanto la brutale violenza del maschio, quanto i peccati che potrebbe commettere la donna quando subisce violenza, in particolare essa deve adoperarsi, mentre subisce violenza di:

  • Non acconsentire al piacere venereo, qualunque sia la violenza, altrimenti incorre in un peccato mortale.

  • Deve difendersi con ogni mezzo ma guardarsi dal ferire mortalmente o anche solo da ledere gli organi dell'aggressore (non solo sessuali, anche gli occhi ad esempio rientrano nella casistica), poiché la vita o anche i principali organi, pur anche dell'aggressore, valgono più del suo onore .

  • Se la donna teme di non riuscire a non acconsentire al godimento allora deve gridare con tutte le proprie forze anche se a rischio della vita. Dovesse morire il suo sarebbe un martirio, diverrebbe quindi beata, mentre al contrario dannerebbe la propria anima.

  • Qualora fosse invece certa di non cedere al piacere, la donna non deve gridare per tema di non mettere in pericolo la propria vita. Ma quest'ultimo caso sarebbe, per l'autore, circostanza quasi impossibile.


  • Attenuanti etiche dunque, per le bestie, perché definirli uomini sarebbe offesa agli uomini stessi, e mal celati tentativi, ahimè fin troppo ben riusciti, di creare nella donna il senso di colpa, per avere osato troppo, nonostante quel troppo sia tutt'altro che oggettivo e anzi, per le bestie di cui sopra potrebbe coincidere con il solo fatto di essere donna e, mi si consenta, di respirare.

    Ebbene, di fronte a ciò, non si può che dire che coloro che forniscono attenuanti etiche o teologiche allo stupro, non sono che bestie ignoranti al pari di chi la violenza la compie. A tale giudizio aggiungo che essi sono per  lo più emanazioni della più bieca ignoranza, di una stupidità che sfocia nell'odio e nella violenza al punto da trovare ad essi, giustificazione.
    Costoro infatti non si rendono conto che quello che definiscono "peccare in tentazione" trova riscontro non tanto nelle forme più o meno sinuose e più o meno nascoste di una donna, quindi nel suo atteggiarsi o comportarsi, quanto nel fatto che esse sono donne, femmine e, in quanto tali, dotate di una struttura fisica, di una forza muscolare e di un'aggressività decisamente inferiori a quella del maschio, cosa che le rende in genere vittime impotenti. Così, al maschio, per questi reperti del più vergognoso oscurantismo, è concesso pavoneggiare le proprie doti, persino avere attenuanti, mentre alla donna non dovrebbe essere concesso desiderio d'apparire al punto da colpevolizzare ogni suo mettersi in mostra tacciandola di vanità tentatrice.
    A questo punto, sono contento che questi omuncoli si siano dati regola di castità: fanno già abbastanza danni senza avere figli propri (con relativo patrimonio genetico), da dover educare con le loro attenuanti etiche.

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