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mercoledì 4 agosto 2010

Morte



Sono io la morte e porto corona
Io son di tutti voi  signora e padrona
davanti alla mia falce il capo tu dovrai chinare
e dell'oscura morte al passo andare.
Sei l'ospite d'onore del ballo che per te suoniamo,
posa la falce e danza tondo a tondo,
il giro di una danza e poi un altro ancora
e tu del tempo non sei più signora.

(Ballo in Fa# minore - Angelo Branduardi)

Alcuni sostengono che la morte sia davvero il termine di ogni cosa: nessun dopo, nessun dove. Altri che sia la porta per un'altra esistenza, per una vita eterna in altri luoghi, con altre regole. C'è chi sostiene sia una parentesi, tra un incarnazione e l'altra, un lungo viaggio verso uno stato di esistenza superiore, o verso il nulla. Ma che sia la fine, l'inizio o una parentesi poco importa: la morte ha sempre avuto un'importanza notevole per l'uomo: in fondo è l'ultimo atto della sua esistenza terrena.
La morte, per quanto mi riguarda è invece semplicemente un dono o, eventualmente, una fortuna. 
Nella vita ci sono pochissime certezze, di tutte la più certa è sicuramente la morte. Non cambia in realtà che essa sia un punto o una virgola, perché, al di là del credo di ognuno di noi, essa è e riamane la fine dell'esistenza dell'essere, così per come è stato conosciuto. Ciò però non è abbastanza per definire la morte un dono, anche perché un ragionamento in tal senso potrebbe sembrare un apologia del omicidio-suicidio.

No, è un dono perché costringe l'uomo a confrontarsi con il suo tempo e con i suoi simili.
L'idea di dover abbandonare i viventi dovrebbe costringerci a estirpare i mali e i difetti della nostra epoca per lasciare un mondo migliore alle generazioni future.
E' un dono perché ogni generazione, indipendentemente dagli occhi ipercritici dei padri, è migliore di quella che l'ha preceduta, ancorché di poco. 
E' un dono perché, i venturi, come abbiamo fatto noi con i nostri avi, raccoglieranno la nostra eredità e la faranno fruttare. 
La morte in fondo è il motivo per cui l'uomo si impegna a tramandare il proprio sapere (che è di fatto la più grande delle eredità), cosicché, chi segue è in grado di  partire dal punto in cui chi ha preceduto, è giunto. 
Di fatto, ogni tentativo di preservare la vita oltre il tempo si è concretizzato in pratiche talvolta sconcertanti (il processo di mummificazione degli antichi Egizi, non è certo cosa piacevole) o grottesche, dettate per lo più dalla paura o dalla follia.
Sarà perché è mia convinzione che la morte, come la vita, vada affrontata e non fuggita, non comprendo il desiderio di veder prolungati gli anni oltre l'indicibile. Anzi, ritengo coloro che sono attaccati oltremodo alla propria esistenza degli avidi mentecatti, incapaci di aver fiducia del futuro tanto da voler in qualche modo governare la sorte.
Intendiamoci: la medicina e la scienza tutta, espressioni del sapere, possono e devono fare del proprio meglio per garantire all'umanità uno standard di vita qualitativamente il più elevato possibile. Se ciò determina il prolungamento della vita media, ben venga. Ma deve rimanere, per così dire, un effetto collaterale.
Se, invece, lo scopo è principalmente quello di ottenere una vita molto lunga, allora, qualcosa che non quadra c'è. Significa cercare di mantenere un potere sopra le cose che non ci è dato per diritto e, come detto, per dovere, va viceversa lasciato a coloro che scalpitano per succederci.
La vecchiaia può essere e deve essere, un valore, oltre che un'età che vale la pena vivere.
Ma la saggezza maturata con gli anni verrebbe completamente cancellata dalla insana brama di vincere una guerra  persa in partenza: l'incapacità di fidarsi, il dramma di pensare di non possedere limiti sono una forma di egoismo assoluto e, come tali, un (se non il) male.
A ben vedere, infatti, è la freschezza delle nuove generazioni e il loro impeto che permettono all'umanità balzi in avanti; viceversa, ci si ritroverebbe presto in una società bloccata e decadente.
Se i vecchi non lasciano il posto ai giovani, questi difficilmente matureranno esperienze, senza le quali non sapranno gestire il potere, se non in modo più o meno approssimativo. A loro volta, questi avranno sempre meno esperienze (e conoscenze a queste dovute) da lasciare in eredità alla generazione entrante creando così un circolo vizioso dal quale non è possibile uscirne se non, come la Storia insegna, in maniera cruenta.
E nel sangue da sempre la morte danza.

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