Frodo :"Vorrei che l'anello non fosse mai venuto da me...
Vorrei che non fosse accaduto nulla!"
Gandalf:" Vale per tutti quelli che vivono in tempi come questi,
ma non spetta a loro decidere.
Possiamo soltanto decidere cosa fare con il tempo che ci viene concesso".
(Film :LOTR - The Fellowship of the Ring)
Fra qualche giorno, il 15, si riprenderà con la chemioterapia, sempre che la febbre di sabato sera (non quella "del" sabato sera) unita a raffreddore, non siano le avvisaglie di una forma influenzale in grado di alterare i valori ematici al punto di dover rimandare.
Stamani, benché sfebbrato (il che mi rende ottimista riguardo ai dubbi di cui sopra), ho preferito non andare al lavoro.
Un secolo fa, sarei andato lo stesso; ora essendo immunodepresso non ne vale la pena.
Stavo ragionando sul fatto che dei sei mesi di "salute" che mi avevano garantito (il poi è un incognita e le statistiche giocano a sfavore), ne ho già passati quattro e mezzo a curarmi.
Alcuni mi hanno fatto notare che sarebbe stato meglio fare altro piuttosto che tornare al lavoro.
Fare un viaggio, dedicarmi ai miei interessi.
In altre parole, godersi gli ultimi istanti/giorni/mesi.
Non so.
Forse la salute cagionevole ha avuto una sua parte inconscia nella decisione di riprendere le normali attività (lavoro, palestra, ecc). Probabilmente anche l'impossibilità attuale di guidare è stato un forte limite.
La verità è che la normalità non è una condizione naturale, ma una conquista.
La normalità è la base di tutto, se non si è soddisfatti di essa nulla potrà davvero essere gratificante, se non in maniera effimera o al più, aleatoria.
L'avevo capito prima attraverso il ragionamento, ne ho dimostrazione ora che la vita me lo ha marchiato a fuoco sulla pelle.
Il lavoro è, o per lo meno in una società giusta dovrebbe essere, parte di questa normalità.
Ecco perché ho desiderato, persino bramato, di rientrare al lavoro.
Al mio rientro, tre settimane fa, la famiglia Vergani, per cui lavoro, mi ha dato possibilità, e di questo non posso che esserle grato, di verificare le mie condizioni, permettendomi di lavorare in affiancamento ai colleghi, anziché riprendere in pieno la mia attività, cosa che sarebbe stata ovviamente troppo stressante.
Ciò mi ha dato modo, tra l'altro, di riorganizzare il lavoro, rivedendo e al caso rifacendo, tutta una serie di documenti un po' datati e lavorare su un programma di preventivazione che conto di finire nel giro di qualche settimana (in realtà la base c'era già, ma mancavano alcuni collegamenti, costruzione banca dati e ovviamente i test di verifica).
Se le cose dovessero andare bene, avrò degli strumenti che mi permetteranno un notevole risparmio di tempo e un conseguente aumento della produttività, viceversa lascerò uno strumento interessante a chi dovrà sostituirmi.
Sarà un risultato per cui andare soddisfatti, anche e soprattutto perché raggiunto non da solo (sono fermamente convinto che il lavoro di un team sia superiore a quello raggiungibile dall'individuo), ma grazie alla collaborazione con Beppe che mi sta aiutando pazientemente nei passaggi più tecnici, dove io sono obbiettivamente più carente.
La precarietà della vita, che tutti abbiamo ma che (per fortuna) avvertiamo solo quando qualcuno ci pone una data di scadenza, ci obbliga a ristimare il valore delle cose.
In fondo qualunque cosa proviamo verrà perduta inevitabilmente con la nostra dipartita.
Ciò che rimarrà non saranno quindi le nostre sensazioni, personali e passeggere come la vita stessa per l'appunto, ma ciò che avremo compiuto.
Tanto saranno grandi queste cose, tanto sarà duraturo il ricordo che ne deriverà, ma grandi o piccole che siano, nessuna cosa fatta dall'uomo ha valore reale se non vi è stato merito nel raggiungerla.
E avere merito è una delle più grandi soddisfazioni che nella vita è dato di provare.
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