Tra le tante cose della tragedia dell'11 settembre, ricordo l'aneddoto di un ristorante nelle immediate vicinanze di Ground Zero che distribuiva pasti gratis ai soccorritori. Il ristorante era di un Italiano, Nino, e ben presto divenne una tappa fissa di tutti i soccorritori che lavoravano notte e giorno, scavando nelle macerie alla ricerca di corpi da riseppellire in modo più degno.
Anche Nino rimaneva aperto 24 ore, rimettendoci del suo, almeno all'inizio, ricevendo in cambio le offerte dei passanti e i doni, per lo più cimeli, dei soccorritori. Presso il ristorante si era riformata una comunità, la gente si dava appuntamento, raccontava e ascoltava storie; ci si scambiava dolore e sguardi, mentre venivano distribuiti hot dog o fettuccine. Nascevano amori, continuava o, se vogliamo, ricominciava la vita.
La Protezione Civile Italiana invece sconsiglia ai cittadini di prendere iniziative.
Certo, è comprensibile.
Che la gente si muova senza organizzazione è assurdo, spesso il risultato è più deleterio che utile: si intasano le strade, si commettono errori dovuti all'inesperienza, ecc.
Tuttavia quell'aneddoto continua a farmi pensare.
Mi convince che la solidarietà è il passo primo per creare una comunità, perché è attraverso di essa che la gente si scopre fatta di esseri umani.
La solidarietà non dovrebbe mai essere sconsigliata, semmai andrebbe sostenuta, guidata.
Invece tutto deve andare come da manuale: prima questo, poi quello.
Fosse almeno un buon manuale, il nostro.
In Abruzzo ci sono famiglie ancora senza una casa e L'Aquila, senza piume, è una comunità che non sa più volare.
Ricordo, in Abruzzo, quando il piccolo uomo al governo, in cerca di record (
La speranza è che entro la fine di novembre non ci siano più tende, nemmeno una in piedi. Sarebbe un record non solo italiano, ma mondiale).
pensava di risolvere il dramma degli sfollati mandandoli in crociera.
Per l'estate stiamo organizzando una serie di vacanze nel mare Adriatico e stiamo vedendo anche delle crociere sul Mediterraneo dove intendiamo mandare famiglie intere e ragazzi.
Sappiamo come è andata. Anzi, non lo sappiamo davvero, perché i giornali non ne parlano più, sempre presi a rispondere alle tre S (sesso, sangue, sport) che generano la quarta (soldi) e salvo sporadici casi, dimentichi del loro ruolo.
Eppure non ci vorrebbe tanto: basterebbe istituire, ad esempio, un numero verde dove i cittadini che volessero manifestare concretamente la propria solidarietà possano rivolgersi.
Facciamo un esempio : io e la mia famiglia viviamo, in tre, in un appartamento piuttosto piccolo, di 75 mq (più o meno). Spostando il divano e mettendo dei letti in casa potremmo accogliere un paio di sfollati. Dar da mangiare a 2 ospiti potrebbe rappresentare un problema, superabile con qualche sacrificio. Anche mia madre vive in un appartamento di 90 mq, da sola.
Lei, in realtà, di sacrifici non ne può fare, perché vive di pensione (minima) ma, se aiutata ad aiutare sono certo sarebbe felice di dare il suo contributo.
Potessimo telefonare ad un numero verde per dare la disponibilità, mi recherei io stesso ad un eventuale punto di raccolta per accogliere i due sfollati che la Protezione Civile eventualmente mi assegnasse.
Se ci fossero dei bambini in età scolare potremmo chiedere agli istituti scolastici locali di predisporre l'inserimento del bambino.
In men che non si dica gli sfollati si ridurrebbero a coloro che per varie ragioni decidessero di rimanere vicino alle proprie abitazioni, per monitorarle o per portare aiuti.
Lo Stato non dovrebbe pensare troppo, né spendere troppo per container e tendopoli e potrebbe concentrarsi davvero sul ripristinare il tessuto produttivo (In Friuli si pensò prima a far ripartire l'economia e il risultato è sotto gli occhi di tutti).
Ad emergenza finita avremmo tutti guadagnato un'esperienza eccezionale, avremmo guadagnato nuovi amici e ci sentiremmo tutti un po' più italiani.
Ma forse per sentirci Italiani, con la I maiuscola, dovremmo diventare tutti come Nino: americani...
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