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martedì 13 dicembre 2011

Cosa farò da vecchio?


I vecchi subiscon le ingiurie degli anni
non sanno distinguere il vero dai sogni
i vecchi non sanno nel loro pensiero 
distinguer nei sogni il falso dal vero
(F.Guccini - Il vecchio e il bambino) 

"Cosa farò da vecchio?" Una domanda che appena pensata mi ha lasciato al tempo stesso stupito ed amareggiato. Non ricordo di aver mai sentito un uomo porsi in mia presenza una domanda simile, di sicuro, io non me l'ero mai posta prima.
Da bambini, infatti, ci si interroga su cosa si farà da grandi; domanda che, nell'adolescenza e nella giovinezza in genere, diviene vaga come la ricerca della sua risposta: sono età ove si tende a vivere il presente e dove il vago futuro si svela lentamente, quasi inconsapevolmente, crescendo tutt'uno insieme agli accadimenti che segnano la vita.
Il futuro si ferma tuttavia alla maturità dell'uomo, non va mai davvero oltre. Alla vecchiaia  ci si accosta con l'idea  di un qualcosa di grigio, di vago, ove ciò che conta è qualche volta la durata della vita, qualche volta la salute ed infine, qualche volta, entrambe. Infatti, anche quando si pensa ad una lunga esistenza, in fondo, si visualizza una vita per lo meno autosufficiente se non addirittura in forze. Raramente si pensa che, prolungando gli anni, si finisca inevitabilmente per sopravvivere a qualcuno, siano essi amici, compagni, o persino se stessi né, tanto meno, che tale sopravvivenza possa essere fonte di grandi sofferenze. Si preferisce soffermarsi sull'idea di poter vedere con i propri occhi il futuro sognato e rincorso, divenire realtà.


Credo, invero, che qualcuno se la sarà pur fatta la domanda di cui sopra e sono altrettanto certo che la risposta che si sarà dato possa suonare più o meno così: "Non appena andrò in pensione io....".
Già perché dopo aver a lungo lavorato e contribuito, in genere,  all'arricchimento altrui e in parte al proprio benessere, si suppone arrivi il momento in cui si può infine cedere e sentirsi liberamente "vecchio", ovvero vivere della rendita maturata in tanti anni, e magari, con la liquidazione, aiutare i figli e perché no, concedersi qualche lusso come un viaggio che di certo si sarebbe goduto meglio ad altre età, ma in fondo basta accontentarsi.
Oggi, pare, tutto ciò non sia più possibile. Le nostre generazioni sono condannate a non poter invecchiare. La ricerca spasmodica della lunga vita, quasi fosse un graal in grado di per sé di donare felicità, sta divenendo, ahi noi, una maledizione. 
Già, perché a noi non sarà concesso di invecchiare: a 70 e rotti anni saremo costretti a lavorare anziché occuparci dei nostri, troppo pochi, figli e nipoti. Abbiamo voluto una vita lunga? Questo è il risultato.
E non sarà importante come arriveremo a 70 anni, se ancora in forze o derelitti, perché il lavoro che avrebbe dovuto renderci liberi ci ha fatto improvvisamente divenire nuovi schiavi. Lo stiamo sentenziando oggi.
Vivremo a lungo per lavorare a lungo, sempre che, sfortuna non voglia, ci si ritrovi improvvisamente disoccupati a 67 anni, con ben poche prospettive: chi punterebbe mai su un sessantasettenne? E se dovesse capitare, quali saranno i contraccolpi sull'entità dell'agognata pensione?
E poi, siamo davvero certi che un muratore a 70 anni possa svolgere il suo lavoro in modo degno? Od un poliziotto avere forza e riflessi per sventare un crimine? 
Certo, ben altra cosa è fare il professore o il politicante, magari entrambe le cose, magari con la convinzione  che affossando il futuro di generazioni si salverà un Paese. Generazioni la cui unica colpa, lo sentenzierà probabilmente il futuro che ci stiamo giocando, sarà stata quella di non aver trovato né la forza, né  il coraggio, né soprattutto la dignità di cacciare per tempo una casta ignobile, che si è divorata, vendendoci illusioni, l'unica vera ricchezza di un popolo: la speranza di un futuro migliore.

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