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lunedì 3 aprile 2017

Da consumarsi preferibilmente entro


3 ottobre 2016, esattamente 6 mesi fa alle 8 e qualche minuto, entravo in sala operatoria dopo che, la settimana prima, a seguito di un malore, mi era stato diagnosticato un tumore al cervello. Circa 25 giorni dopo, con gli esiti dell'esame istologico, dalle dimensioni della massa tumorale e delle statistiche disponibili, il neurochirurgo sentenziò che mi rimanevano circa sei mesi di vita dalla data dell'operazione. Per essere precisi, mi disse di fare quello che dovevo, entro quella scadenza, perché poi in qualunque momento la cosa sarebbe degenerata nel giro di poco tempo.
Ecco, pochi istanti fa sono "scaduto", da adesso in poi, la bomba che ho nel cervello potrebbe esplodere.
Ma come sto veramente?
Mentalmente non è cambiato nulla; parlo del dopo, chiaramente.
Anche perché prima non riuscivo a cogliere appieno l'effimero dell'esistenza, ora sono costretto a conviverci.
Tuttavia, non viene meno la voglia di vivere; forse un po' meno la gioia, ma non sempre: solo quando riprendo a parlare con la tenebra, vecchia amica mia, di visioni ove diecimila voci o forse più, nulla dicono, proprio come il cancro che mi corrode dentro.
Fisicamente le cose non vanno malaccio.
Il mio obiettivo di rimanere il più sano possibile per accedere al massimo potenziale delle cure, per ora, è stato raggiunto. Gli esami del sangue sono quasi normali, che per una persona che si "avvelena" di chemio è un ottimo segnale. Resisto bene, anche se mi chiedo se non lo stia facendo anche "lui", visto che condivide gran parte del mio DNA.
Dal punto di vista "atletico" invece le cose non vanno benissimo.
Stavo meglio un paio di mesi fa.
Sempre più spesso compaiono parestesie alla gamba sinistra. Fatico a stare seduto per troppo tempo perché il fastidio dopo un po' diventa dolore. Anche il braccio a volte mi fa male e, ultimamente, mi pare di avere avuto un calo di vista, sempre e solo a sinistra.
Tuttavia, salvo i giorni in cui devo fare la terapia, sto impegnandomi a non saltare le lezioni di Karate.
Il confronto tra prima e dopo l'operazione è pesante, ma è una cosa che ho smesso di fare da un po'. Ora, ogni cosa è una conquista. Se mi riesce male un kata, non è un fallimento ma un esercizio che sono riuscito a fare.
Male, ma sono riuscito a fare.
Anche al lavoro: se perdo ore per qualsiasi motivo non le considero perse, ma considero le altre, quelle fatte, guadagnate.
I peggioramenti sono però evidenti.
Qualche volta, di sera, mi viene mal di testa: non mi era mai successo prima.
Spesso ho problemi di equilibrio che poi si risolvono quasi subito.
Diversamente da quanto sopra, la sonnolenza, che mi sopraggiunge dopo pranzo, non mi abbandona più fino all'ora di coricarmi, tanto che quando torno dal lavoro, soventemente, crollo sul divano, sulla sedia od ovunque capiti di potermi sedere. La mattina, in modo particolare, mi muovo come Ozzy Osbourne e, a volte, è più la volontà che non l'esercizio a farmi camminare bene. E' come se mi dovessi resettare ogni mattina.
Poco male: l'importante è riuscire a ripartire, anche se trovo lecito chiedermi fino a quando la mente prevarrà; fino a quando troverò la forza.
Perché per la mente non è come per il resto del corpo, non si resetta: ogni problema è un altro mattone sul muro (oggi sono in vena di citazioni).


1 commento:

Claudio Casonato ha detto...

Luca, hai sempre tutta la mia stima e solidarietà.
Un abbraccio.

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