Con i dati e le percentuali si può dire di tutto e tutto il contrario. Basta decontestualizzare o alla peggio, fornire una chiave di lettura. Ne avevo già parlato tempo fa in altri articoli (La truffa delle percentuali e Decontestualizzazioni), ne riparlo oggi alla luce di due notizie lette sui quotidiani on line Avvenire e Corriere.
Partiamo da quest'ultimo: l'articolo tratta in toni trionfalistici di un consistente aumento dl fatturato delle imprese italiane, un record, ben l'8,9% rispetto allo scorso anno.
Intendiamoci è un dato che fa sperare, una probabile quanto auspicata inversione di tendenza, ma parlare di record o di forte crescita dopo un crollo deciso e costante dovuto alla crisi, è per lo meno fuori luogo. Insomma, se guadagno 20.000 € all'anno e aumento il mio introito del 100% risolvo molti problemi e posso condurre la mia vita con una certa tranquillità; se guadagno 3000 € all'anno e li raddoppio, rimango comunque in grosse difficoltà
finanziarie e la mia vita non migliora un granché.
finanziarie e la mia vita non migliora un granché.
Ora, al di là dei dati statistici, i giornalisti, i quali non si astengono e, anzi, si sprecano nel fornire il proprio giudizio quando raccontano fatti di politica e cronaca, dovrebbero imparare ad analizzare, contestualizzare e, per lo meno, fornire una critica sui dati che sciorinano, almeno se economici. Diversamente dimostrano solo una totale incompetenza, sempre sperando nell'onestà intellettuale.
Il primo articolo invece, quello di Avvenire, tratta dei divorzi e di come questi stiano aumentando nel tempo.
In tal caso il discorso potrebbe essere totalmente diverso perché i dati sono soggetti essere utilizzati per dire cose completamente diverse a seconda di ciò che si vuole dimostrare , anche perché, in un certo senso contestualizzati.
Un cattolico, ad esempio, potrebbe leggere il dato sostenendo che l'abiura delle radici cristiane stia progressivamente svilendo il senso della morale e del dovere che invece avrebbe contraddistinto il nostro paese negli anni passati. Di contro, un non credente potrebbe sostenere che il matrimonio, in realtà, sia un istituzione non più in grado di reggere all'urto della frenesia che caratterizza i nostri anni, magari facendo riferimento ai dati, presenti nell'articolo che vede un matrimonio su tre fallire al Nordovest contro uno su cinque del sud, storicamente meno frenetico.
Un anticlericale potrebbe ridere del fatto che avanti di questo passo in chiesa ci saranno più persone non in grado di fare la comunione (il divorzio è considerato peccato grave) di quante possano serenamente accostarsi al sacramento. Una cardinale vedrà in questi dati l'opportunità di richiedere il potenziamento l'ora di educazione religiosa (cattolica) a scapito magari della storia (magari qualcuno non studierà l'illuminismo...) o della filosofia (che già di per se è relegata ai licei).
Ognuno potrebbe invero snocciolare gli stessi medesimi dati per sostenere tesi, spesso diametralmente opposte, almeno nei fini ultimi.
Chi avrebbe ragione? Nessuno, ovvero, tutti. La verità spesso, se si parla di sociologia, è più complessa di quanto una singola tesi possa spiegare. Nello specifico può essere vero tutto: ad esempio si potrebbe sostenere che la frenesia e il benessere generano superficialità, che la società tutta (chiesa compresa), è disposta ad accettare, per negligenza, incapacità o persino per profitto, ma anche che il tradimento dei valori tradizionali o, peggio ancora il sovvertimento della scala di tali valori, sia causa, ecc, ecc.
Di certo, il dato va analizzato e deve essere inteso non tanto come la verità ma come un mezzo per raggiungerla.
Il contrario è assai pericoloso, tanto quanto cercare di risolvere un problema scambiando le conseguenze per le cause.
In tal caso il discorso potrebbe essere totalmente diverso perché i dati sono soggetti essere utilizzati per dire cose completamente diverse a seconda di ciò che si vuole dimostrare , anche perché, in un certo senso contestualizzati.
Un cattolico, ad esempio, potrebbe leggere il dato sostenendo che l'abiura delle radici cristiane stia progressivamente svilendo il senso della morale e del dovere che invece avrebbe contraddistinto il nostro paese negli anni passati. Di contro, un non credente potrebbe sostenere che il matrimonio, in realtà, sia un istituzione non più in grado di reggere all'urto della frenesia che caratterizza i nostri anni, magari facendo riferimento ai dati, presenti nell'articolo che vede un matrimonio su tre fallire al Nordovest contro uno su cinque del sud, storicamente meno frenetico.
Un anticlericale potrebbe ridere del fatto che avanti di questo passo in chiesa ci saranno più persone non in grado di fare la comunione (il divorzio è considerato peccato grave) di quante possano serenamente accostarsi al sacramento. Una cardinale vedrà in questi dati l'opportunità di richiedere il potenziamento l'ora di educazione religiosa (cattolica) a scapito magari della storia (magari qualcuno non studierà l'illuminismo...) o della filosofia (che già di per se è relegata ai licei).
Ognuno potrebbe invero snocciolare gli stessi medesimi dati per sostenere tesi, spesso diametralmente opposte, almeno nei fini ultimi.
Chi avrebbe ragione? Nessuno, ovvero, tutti. La verità spesso, se si parla di sociologia, è più complessa di quanto una singola tesi possa spiegare. Nello specifico può essere vero tutto: ad esempio si potrebbe sostenere che la frenesia e il benessere generano superficialità, che la società tutta (chiesa compresa), è disposta ad accettare, per negligenza, incapacità o persino per profitto, ma anche che il tradimento dei valori tradizionali o, peggio ancora il sovvertimento della scala di tali valori, sia causa, ecc, ecc.
Di certo, il dato va analizzato e deve essere inteso non tanto come la verità ma come un mezzo per raggiungerla.
Il contrario è assai pericoloso, tanto quanto cercare di risolvere un problema scambiando le conseguenze per le cause.
1 commento:
post molto interessante. Ciao! Bruno
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