Ad Expando

mercoledì 9 marzo 2011

Accecato dalla fede

La fede è cieca, si sa.
E' una sua caratteristica.
Diventa un problema quando acceca, in senso lato,  le persone; quando cioè queste iniziano a vedere la divinità in ogni dove. Ci sono vari tipi di traveggole, una buona raccolta la potete trovare sul sito di A. Lombatti nella sezione (Un)Holy Visions  e sono per lo più pareidolie, ovvero illusioni ottiche, per le quali ci pare riconoscere volti o immagini in linee casuali, tipo le venature del marmo o del legno, nella forma delle nuvole , nelle macchie di unto o, e giuro che non sto scherzando, nelle bruciature di un toast.
Queste di cui sopra, sono a mio avviso le più innocenti e come tali meno pericolose: fanno sorridere, poiché in effetti non fanno che rivelare la poca fede di coloro che hanno bisogno di intravvedere il divino anche laddove non vi è nient'altro che casualità che il nostro cervello riordina per schemi conosciuti. Ben peggiori sono invece le traveggole che appaiono a coloro che intendono vedere in ogni cosa la volontà del divino ed è di queste oggi voglio occuparmi.
Per farlo accennerò alla recente tragedia avvenuta in quel di Brembate, ove a seguito del ritrovamento del cadavere della povera Yara, qualcuno, in particolare il parroco del paese e Antonio Socci , giornalista di Libero, hanno prematuramente accostato l'immagine di Yara a quella di Maria Goretti, una giovine divenuta santa per la volontà di morire prima di aver commesso peccati, oltre che per la resistenza allo stupro che le fu in un certo senso fatale e al perdono, prima di morire, del suo assassino.
Ciò che fa specie di codeste persone è la convinzione, assolutamente priva di ogni riscontro, di possedere delle verità assolute. Potrebbe anche essere, e personalmente sono convinto sia anche probabile, che la sventurata ragazzina sia stata vittima di un'aggressione con finalità di violenza, ma un conto è l'opinione, per sua natura opinabile, un conto è partire dalla stessa per costruire una verità più o meno probabile ma di certo non provabile.
Analizziamo l'articolo di Socci, reperibile sul suo blog.
Yara non è la protagonista di una storia di orrore. E’ il suo assassino che sprofonda nell’orrore. Lei invece è la protagonista eroica di una luminosa storia di dignità.

La sua è – perché non dirlo – una testimonianza di santità scritta col sangue del martirio
Va ricordato che l'articolo di Socci è stato scritto il 1 marzo, due giorni dopo il ritrovamento del corpo di Yara, quando ancora non vi era, come del resto ad oggi,  alcun riscontro oggettivo, ma solo ipotesi, e soprattutto nel frattempo che gli inquirenti predicavano prudenza.
Tuttavia per Socci, Yara è, senza alcun dubbio, già santa e martire.
Forse non la capiremo perché adesso il circo dei media darà il via alle solite polemiche sulle indagini, sugli inquirenti e alimenterà mediocri scontri mediatici.

Il fango ci impedirà di vedere la cosa più importante e preziosa: la purezza di questa fanciulla e il suo eroismo.

La cultura dominante non sa fare i conti con la purezza. Né con la santità. Non le conosce. Una parola enorme, la santità, da maneggiare con cura, ma anche giusta. E abbagliante, gloriosa.
Come solito fare per certi personaggi, si parte nel condannare altrui comportamenti senza accorgersi di cadere nello stesso "peccato". Nel caso di Socci addirittura c'è un'accusa preventiva su ciò che dovrà accadere e nel farlo, nemmeno si accorge di rendersi, con le sue dichiarazioni strampalate, egli stesso un "alimentatore" di scontri mediatici.
Quale sarebbe poi il fango che dovrebbe impedirci di vedere qualsivoglia cosa? Forse le parole abbondantemente oltre il confine dell'umana idiozia della signora Santanchè (che io da oggi mi rifiuto di appellare onorevole):
Dopo la vicenda della piccola Yara i magistrati dovrebbero dimettersi. Se avessero impiegato per le ricerche le stesse risorse e tecnologie che hanno speso per indagare sulle ragazze dell'Olgettina forse Yara sarebbe ancora viva.
Socci non lo dice, lancia il sasso ma poi si nasconde, tutto, non solo la mano, dietro una stucchevole retorica.
Personalmente non ho conosciuto la povera vittima e non mi permetterei nemmeno nei sogni di mettere in dubbio la bravura della ragazzina. In egual misura però trovo di cattivo gusto, diciamo pure disgustosa, la retorica di affibbiare ad una sconosciuta, virtù eroiche o estrema purezza.
Sarà anche vero che la cultura dominante non riconosce certe cose. Ma non è quella cattolica la cultura dominante? O lo è solo quando c'è da inchiodare crocifissi al muro o quando bisogna imporre le volontà dei "pro-life" a tutta la cittadinanza?
Personalmente, credo di saper conoscere la santità e per assurdo, nonostante la mia avversione per la Chiesa, l'ho trovata e riconosciuta proprio in un prete che conobbi tanti anni fa e che segnò profondamente la storia della frazione in cui abitavo, tanto che ancor oggi si parla con nostalgia de "i tempi di Don Angelo".
E sempre di angeli terreni, ricordo un'infermiera, anch'essa casualmente di nome Angela, che aveva speso la vita nelle terre martoriate d'Africa a portare guarigione e speranza, attraverso un sorriso che non ebbi difficoltà , ai tempi, di definire "il sorriso di Dio". Ma furono esperienze dirette e toccanti: nulla di trascendentale invero, me intense, vissute.
Non certo dedotte o inventate.
In queste ore di strazio infatti con Yara viene in mente un altro nome, un altro volto. Del resto avevano la stessa età, 12-13 anni. Ed è la stessa vicenda. La storia di Yara Gambirasio è accaduta cento anni dopo quella di Maria Goretti, ma non ci sono grandi differenze.

Anche Yara – se saranno confermate le ipotesi degli inquirenti – è stata selvaggiamente uccisa con un coltello per essersi opposta a un tentativo di stupro.
L'accostamento di Yara a Maria Goretti è piuttosto azzardato. In comune, di certo, hanno solo l'età. 
L'una nel difendersi da uno stupro rimase gravemente ferita ed morì di setticemia insorta a seguito di un'operazione chirurgica il giorno successivo all'aggressione. Nel frattempo aveva perdonato il suo assalitore. 
Di Yara, si sa solo che è morta a causa di numerose coltellate e/o a strangolamento. L'ipotesi di tentativo di violenza, per quanto verosimile, resta un'ipotesi e non si hanno, né ahimè si potranno avere, prove che la vittima abbia avuto intenzione di perdonare il suo aggressore. 
Perchè dunque santificare la vittima? A quale scopo? Cosa davvero ne guadagnerebbe, viste le azzardate ipotesi, la figura di Yara? Davvero il caso farebbe meno riflettere se la vittima fosse stata una normalissima ragazza come tante?
Maria Goretti è stata canonizzata nel 1950 da Pio XII, ma anche lei era una ragazzina normale come Yara e si è trovata in un’analoga trappola infernale. Certo, i tempi sono cambiati e anche i luoghi sono diversi. Mentre Maria viveva nella miseria delle paludi pontine dei primi anni del Novecento, Yara è nata e cresciuta nella moderna e civile Lombardia di oggi.

Ma la Lombardia è la regione più progredita e prospera d’Europa senza per questo aver perso la sua anima cattolica, le radici della sua fede, soprattutto nella bergamasca. La stessa terra e la stessa fede raccontate nell’ “Albero degli zoccoli”: Yara non solo è stata battezzata ed educata nella fede cattolica, non solo frequentava la parrocchia e una scuola cattolica, ma aveva ricevuto proprio l’anno scorso la cresima, il sacramento che ci fa soldati di Cristo, pronti a tutto per difendere la dignità di figli di Dio che il Salvatore ci ha donato.
Antonio Socci
Ogni tipo di ragionamento logico qui naufraga in un mare di sterile, melensa e pietosa retorica. Socci cerca di trovare punti in comune tra le due ragazzine attaccandosi a qualunque cosa. Innanzitutto andrebbe ricordato al nostro pio scrittore che il caso di Yara non è l'unico, purtroppo. Forse dovremmo ricordargli gli abusi subiti da centinaia se non migliaia di bambini all'interno di strutture cattoliche, se non addirittura le violenze perpetrate da religiosi nei confronti di infanti o, come hanno tenuto a sottolineare alcuni ipocriti, di efebi. Ecco, magari nessuno di questi casi è finito con un omicidio, ma tant'è. Forse dovremmo ricordare quante donne vengono abusate ogni giorno e che il loro dolore non viene sminuito dalla mancanza di purezza o di eroicità. Forse.
Che poi siamo sicuri che resistere alla brutale violenza sia per forza eroico? E le donne stuprate che non riescono ad opporsi alla violenza del maschio dovrebbero sentirsi inferiori a quelle che si difendono fino al martirio e, magari, aggiungere al dolore assurdi sensi di colpa
La Lombardia cattolica.
Bel tema. Lo è, invero, assai meno di una volta e il bergamasco come il veneto intercala "porchi" di ogni genere, ma forse lo fa per sottolineare la sua radice cristianissima. Le chiese sono sempre meno piene, c'è un calo evidente delle vocazioni e la religione è sempre più una cosa di facciata o una via per il potere.
I motivi addotti per la santità di Yara sono poi risibili. battesimo, scuola, comunione, oratorio , cresima. Per Giove! Sono santo anch'io! Per lo meno lo sono stato...
E poi quel "soldato di Cristo" non so perché ma inquieta, così come quel "pronti a tutto".
Molti pensano che sia tutto “per modo di dire”, forse anche tanti cattolici vivono con scontata ovvietà quei misteri grandi che sono i sacramenti, che invece non sono scontati e ovvi per nulla, perché ci danno davvero una forza divina. Ci divinizzano. Yara, nella sua semplicità di tredicenne, pulita, semplice, pura, ha difeso la sua dignità con lo stesso eroismo dei martiri. Come Maria Goretti. Come le prime martiri, agli albori del cristianesimo, così amate e venerate dalla Chiesa: spesso erano proprio coetanee di Yara.
Purtroppo, il problema non è che molti pensano che "sia un modo di dire", ma proprio il contrario, ovvero che troppi prendono letteralmente certe parole. Ad ogni modo è vero, a dimostrazione di quanto dicevo prima, che la maggior parte dei cattolici si dichiarano tali senza neppure sapere cosa significhi essere cristiani generici, figuriamoci cattolici.
E poi basta con questa apologia dei martiri, neppure fossero esclusiva cattolica: ma bisogna sempre ricordare le migliaia di persone uccise nel nome della croce?
I santi non sono degli ufo, delle entità particolari, degli esseri superiori. Sono semplicemente i cristiani che vivono da cristiani, sono i nostri figli, i nostri amici. Uomini e donne vere.
Sono la testimonianza che l’umile quotidiano può essere vissuto con eroismo, con eroismo cristiano, anche da una ragazzina acqua e sapone.
Anzi, forse tanto più da creature come lei che – nella storia cattolica – sono visibilmente le predilette dal Cielo: non a caso nelle apparizioni mariane gran parte dei prescelti sono adolescenti e soprattutto ragazzine adolescenti.
Forse così amate dalla Madonna proprio perché così somiglianti a lei, alla giovinetta che a Nazaret ricevette l’annuncio dell’Angelo.
Ok, non sono Ufo e nemmeno rettiliani, sono uomini e donne normali.
Che hanno compiuto, o meglio, avrebbero compiuto, prodigi. Con molta, molta normalità.
Come possa venire pensata una generalizzazione del genere è un mistero.
Non è un mistero invece che ormai l'articolo veleggi tra il banale e il grottesco.
Quando poi leggo che creature cui la fortuna ha voltato le spalle ( giusto per usare eufemismi)  sarebbero predilette dal cielo mi viene male: mi sovviene l'idea di una divinità malvagia e sadica, non troppo distante da quelle antiche che richiedevano sacrifici sanguinari.
Tomas de Torquemada
Il fatto che poi la Madonna prediliga gli adolescenti è tutto un dire.
Visto che, appunto si parla, di adolescenti ovvero di giovani tra la fanciullezza e la maturità che tendono a estremizzare il tutto e che rivendicano in ogni modo l'attenzione; ma questa mi rendo conto è una malignità.
Qui Socci nel suo passare di palo in frasca si collega ad una apparizione mariana non riconosciuta, il cui unico collegamento con la vicenda e con quanto scritto finora è che il luogo delle apparizioni sarebbe nel bergamasco a pochi chilometri da Brembate.
Grottesco e ridicolo, a questo punto, lasciano posto all'assurdo più totale.
Frasi sconnesse, concetti ripetuti come mantra.
Socci si rifà alla sopraccitata Madonna e ai suoi messaggi per la famiglia per ricordarci quanto la famiglia stessa sia in pericolo:
Infatti è la famiglia che di lì a poco tutta la cultura moderna avrebbe bombardato.
Tutta la cultura moderna? Anche quella lombarda? Anche quella del bergamasco figlia dell'Albero degli zoccoli"? Quella cristiana dunque!
Insomma, decidersi una buona volta no?
Comunque il tutto, pare incredibile, serviva solo a trovare un modo per ricordare a tutti come la famiglia di Yara fosse cristiana e con quanta dignità abbia affrontato il dramma. Perché tale dignità non è insita in queste persone in quanto tali, oh no, esisterebbe solo perché esse sono cristiane. Chissà per quale motivo la dignità cristiana abbia abbandonato altre famiglie. Ma forse il dramma di Avetrana, o quello di Cogne o di Novi Ligure si è consumato tra famiglie indù o musulmane. Comunque, come detto, Socci continua il suo mantra:
E, voglio aggiungere, si può pensare a Yara (e parlarle) come a una Maria Goretti del XXI secolo.

Dovremmo vedere che l’eroismo è un connotato della fede cristiana.E’ eroico oggi essere cristiani. Come è eroica la purezza. E’ la cosa più anticonformista che ci sia.
Una ripetitività nauseante. Sembra quasi che ripeta per auto convincersi. Ed infatti insiste:
I nostri figli che scelgono la purezza e la dignità scelgono una strada di eroismo e di dileggio, di umiliazione e di bellezza.
Del resto Gesù disse ai suoi amici: “Vi mando come agnelli in mezzo ai lupi…”.
I lupi sbranano le carni. Ma più spesso viviamo in un clima dove l’aria che respiriamo sbrindella le anime, le perde.
I giovani come Yara sono i veri eroi da guardare, non i fasulli eroi creati dai media. Infatti chi oggi insegna più ai giovani la purezza, la dignità, il rispetto di sé, del proprio corpo e della propria anima?
In sostanza ci racconta come il scegliere di essere dileggiati (?) sarebbe eroico. Scusate la franchezza se avanzo qualche dubbio in proposito e, soprattutto, se non capisco su che basi e per quali motivi Socci elevi una povera ragazza vittima di un brutale assassinio a eroina cui tendere come esempio.
Mi spiace per Socci ma gli eroi son ben altra cosa: per divenire tali non basta tentare di difendersi da un aggressione. Il farlo fa parte dei primordiali istinti di qualsiasi persona.
Come giornalista sta accusando altri di fare ciò che egli fa: creare eroi fasulli.
E questo lo affermo con tutto il rispetto (sentito: la loro dignità è stata davvero commovente) per la famiglia Gambirasio, per cui Yara era sicuramente speciale al di là di ogni presunto eroismo, tanto più che era una buona figlia.

A questo punto ennesimo salto mortale in cui la Logica purtroppo muore. Da leggere e rileggere questo capoverso:
Per questo penso che la testimonianza di Yara non sarà veramente capita. Così voglio aggiungere un’ulteriore considerazione.

La vicenda di Yara si è conclusa proprio nei giorni in cui tornano fuori, per l’ennesima volta, le polemiche sulla presenza del crocifisso nei luoghi pubblici, a cominciare dalle scuole.
Che diavolo c'entra? Cosa vuol dire questo collegamento? Ma non poteva fare un altro articolo? 
Potrei in realtà fermarmi qui, in fondo sarebbe già abbastanza per determinare quanto certe degenerazioni della fede possano obnubilare una persona al punto da fargli vedere verità ineccepibili, quasi rivelate, ovunque, anche quando non c'è uno stralcio di prova, nulla che possa dirigere i pensieri in una precisa direzione.
Tuttavia per chi ha pazienza, voglio continuare l'analisi dell'articolo, perché se possibile riesce a scavare anche laddove non parrebbe umanamente possibile.
Un’errata idea di laicità ancora una volta vorrebbe cancellarli perché dicono che laicità significa neutralità.
E’ ovvio che lo Stato sia neutrale fra le confessioni religiose.
Ma lo Stato non è neutrale fra il Bene e il Male
E il crocifisso – come ha scritto tanti anni fa Natalia Ginzburg – è il segno delle vittime, cioè del Bene, che dalla storia cristiana è entrato a far parte della cultura di tutti, anche dei non cristiani.
Il segno anche laico che siamo tutti con i crocifissi e non con i crocifissori.
Concordo con la prima frase, poiché la neutralità si conquista con la convivenza delle somme, non con l'imposizione delle differenze. Tuttavia come al solito si prendono concetti lapalissiani al limite del banale per giustificare il proprio credo.
Ma chi lo dice che il crocifisso è entrato a far parte della cultura di tutti, anche dei non cristiani? E chi dice che il crocifisso debba essere un segno laico (probabilmente delira) per identificarci tutti dalla parte dei crocifissi?
Al di là del fatto che a parte uno, sempre che sia andata così come raccontano,  gli altri crocifissi non erano certo stinchi di santo (ovvio poi che la crocifissione oggi sarebbe una pena impraticabile, per fortuna), ma prima di decidere che io debba essere dalla parte di un "crocifisso" non sarebbe opportuno che mi si dicesse a chi diavolo egli intende riferirsi?
Ai deboli e ai poveri, come ha fatto  la Chiesa romana quando si è messa dalla parte di Franco, Pinochet & Co, o quando ha dichiarato pericolose ed erronee le teorie della Teologia della Liberazione?
Anche la cultura laica afferma che non si può essere neutrali fra le vittime e i carnefici. Infatti in tutte le scuole d’Italia, in questi giorni, parlando di Yara, tutti si sentiranno dalla parte della fanciulla assassinata.

Nessuno si sentirà “equidistante”. Tanto meno lo è lo Stato laico. Il crocifisso esprime questo stare dalla parte delle vittime.

La Ginzburg scriveva che fa bene guardare il crocifisso perché “di esser venduti, traditi e martoriati e ammazzati per la propria fede, nella vita può succedere a tutti. A me sembra un bene che i ragazzi, i bambini, lo sappiano fin dai banchi della scuola.
Gesù Cristo ha portato la croce. A tutti noi è accaduto o accade di portare sulle spalle il peso di una grande sventura.
Crociati con la vera croce (Dorè)
Stesso giochetto di prima, peccato che non si capisce perché un laico, un ebreo o un musulmano dovrebbero sentirsi dalla parte della vittima per via del crocifisso. E poi, ancora con l'articolo di Natalia Ginzburg (Quella croce ci rappresenta tutti) di cui Socci, chissà se in buona fede,  prende solo ciò che gli serve. Senza considerare il fatto che quello della Ginzburg, come il suo e come il mio, non sono altro che pareri. Non verità assolute.
Ripeto, per quel che mi riguarda attendo i tempi di una società dove i simboli religiosi non siano un discrimine e come tali non debbano essere imposti in ogni dove per accontentare le fisime di qualche religioso da quattro soldi (la fede dovrebbe andare ben al di là della presenza di un simbolo su di un muro) o peggio di qualche politicante imbecille pronto a tutto pur di raccattare voti. 
Nel frattempo che i simboli rimangano, ma che la loro presenza non debba divenire anche imposizione ideologica per cui ci si debba per forza riconoscere nel simbolo della religione altrui.
Io nel crocifisso non mi ci riconosco, non ho intenzione di farlo e la sola idea di doverlo fare mi inquieta, perché in quanto imposizione, diverrebbe automaticamente privazione della mia libertà.
Soprattutto, voglio che nessuno parli a mio nome, motivo per cui i significati terzi del crocifisso li respingo, sdegnato, al mittente.
Tutti, cattolici e laici portiamo o porteremo il peso di una sventura, versando sangue e lacrime e cercando di non crollare. Questo dice il crocifisso.
Lo dice a tutti, mica solo ai cattolici.
Alcune parole di Cristo, le pensiamo sempre, e possiamo essere laici, atei o quello che si vuole, ma fluttuano sempre nel nostro pensiero ugualmente.
Ha detto ‘ama il prossimo come te stesso’. Sono il contrario di tutte le guerre. Il contrario degli aerei che gettano le bombe sulla gente indifesa.
Il contrario degli stupri e dell’indifferenza che tanto spesso circonda le donne violentate nelle strade (…). Il crocifisso fa parte della storia del mondo”.
Siamo finalmente alla fine, e tocca anche a me ripetermi: gli insegnamenti del Cristo non sono in discussione, sebbene spesso dicano tutto e il suo contrario. Presi singolarmente sono comunque ineccepibili: d'altra parte questo è il segreto del successo della religione.
Poi, certo, il crocifisso, il simbolo cioè, non l'uomo presunto Dio (o forse no? A questo punto credo di essere confuso anche io...), simboleggia il contrario di tutte le guerre. Magari anche delle crociate; peccato che allora nessuno se ne accorse e che addirittura uccidevano, trucidavano e violentavano, brandendolo a  vessillo al grido di deus le volt.
Ed è sicuramente il contrario delle violenze alle donne, checché ne dicesse o ne pensasse Tomas de Torquemada e i suoi amici.
Già, il crocifisso fa parte della storia del mondo.
Anche se a volte, specialmente leggendo Socci,  verrebbe da dire "purtroppo".

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