"L’obiezione di coscienza è anche un diritto che deve essere riconosciuto ai farmacisti"- mons. Mariano Crociata, Segretario Generale della CEI -
L'inalienabile diritto alla coscienza, principio sacro che andrebbe ricordato soprattutto a quei farmacisti che non si fanno scrupoli a fare del businness spacciando acqua e zucchero per medicina, e mi riferisco all'Omeopatia. Tralasciamo per un attimo certe considerazioni cui eventualmente rimando a chi ne sa più di me (da leggere assolutamente i post sull'Omeopatia proposti su Medbunker, qui, qui, qui e qui) e passiamo al tema proposto nel titolo: per me è piuttosto semplice, ben venga l'obiezione di coscienza a patto che questa non pregiudichi il servizio per chi ha una sensibilità od un credo diverso. Questo varrebbe a mio avviso anche per gli ospedali pubblici, dove in barba alle leggi o alle sentenze, l'ideologia ciellina sta dilagando, non tanto per la quantità di medici obiettori, quanto per il sistema allucinante che permette alla politica di nominare i Direttori. Si badi, questo non vuole assolutamente dire che la maggior parte della popolazione è ideologicamente vicina a Comunione e Liberazione, semplicemente che la lobby da essa rappresentata ha ormai il controllo di notevoli pezzi della sanità pubblica. Chi vive in Lombardia sa cosa intendo.
Non discuto la libertà di credo del singolo, ma non è assolutamente possibile che questi possa avere, in uno stato che si professa laico, la possibilità di influire sulle decisioni altrui: se deve esserci un diritto di obiezione per coloro che prestano un servizio essenziale, parimenti deve essere garantito il diritto a questo servizio nelle modalità tra l'altro previste dalla legge, altrimenti il sistema non regge.
Personalmente poi, diffido di coloro che fanno del proprio credo religioso la propria identità, tendono a "talebanizzarsi" come quel medico che tempo fa, all'ospedale Niguarda di Milano, rifiutò la somministrazione di antidolorifici ad una donna appena sottoposta ad aborto terapeutico alla 21° settimana per deformità del feto (leggere qui), venendo meno ai suoi doveri e vestendosi indebitamente dei panni del punitore, dimenticando oltre al giuramento di Ippocrate anche il principio fondamentale del perdono tanto sbandierato dalla sua religione.
Certo sono casi limite, come quel farmacista che non volle vendermi una pomata contro le punture di insetti perché a suo dire l'avrei utilizzata per prolungare il coito. La pomata infatti conteneva un anestetico (credo lidocaina), che lui sapeva essere utilizzato da noi peccaminosi giovinastri per ritardare l'orgasmo. Alla fine riuscii a convincerlo della mia "buona fede" mostrandogli il rigonfiamento sul polpaccio dovuto alla puntura di un tafano, ma mi rimane ancor oggi il dubbio di come un simile cerebroleso possa aver conseguito una laurea complicata come farmacologia.
O come quei farmacisti che tempo fa vennero alla ribalta su Striscia la Notizia (o le Iene?), per il fatto che si rifiutavano di vendere i profilattici.
Insomma, la Sanità nel suo insieme è in Italia un servizio pubblico che come tale non deve e non può essere assoggettato a maggioranze, siano esse politiche o religiose.
Non discuto la libertà di credo del singolo, ma non è assolutamente possibile che questi possa avere, in uno stato che si professa laico, la possibilità di influire sulle decisioni altrui: se deve esserci un diritto di obiezione per coloro che prestano un servizio essenziale, parimenti deve essere garantito il diritto a questo servizio nelle modalità tra l'altro previste dalla legge, altrimenti il sistema non regge.
Personalmente poi, diffido di coloro che fanno del proprio credo religioso la propria identità, tendono a "talebanizzarsi" come quel medico che tempo fa, all'ospedale Niguarda di Milano, rifiutò la somministrazione di antidolorifici ad una donna appena sottoposta ad aborto terapeutico alla 21° settimana per deformità del feto (leggere qui), venendo meno ai suoi doveri e vestendosi indebitamente dei panni del punitore, dimenticando oltre al giuramento di Ippocrate anche il principio fondamentale del perdono tanto sbandierato dalla sua religione.
Certo sono casi limite, come quel farmacista che non volle vendermi una pomata contro le punture di insetti perché a suo dire l'avrei utilizzata per prolungare il coito. La pomata infatti conteneva un anestetico (credo lidocaina), che lui sapeva essere utilizzato da noi peccaminosi giovinastri per ritardare l'orgasmo. Alla fine riuscii a convincerlo della mia "buona fede" mostrandogli il rigonfiamento sul polpaccio dovuto alla puntura di un tafano, ma mi rimane ancor oggi il dubbio di come un simile cerebroleso possa aver conseguito una laurea complicata come farmacologia.
O come quei farmacisti che tempo fa vennero alla ribalta su Striscia la Notizia (o le Iene?), per il fatto che si rifiutavano di vendere i profilattici.
Insomma, la Sanità nel suo insieme è in Italia un servizio pubblico che come tale non deve e non può essere assoggettato a maggioranze, siano esse politiche o religiose.
4 commenti:
So per certo di ginecologi che si rifiutavano di fare aborti in ospedale, lmentre li facevano tranquillamente in studio (a pagamento, è ovvio)....
Già, pare che la pecunia non puzzi neppure in paradiso...
Stimolato dalle notizie sull’obiezione di coscienza dei medici e più recentemente dei farmacisti ho deciso di scrivere la mia opinione. Parto dalla definizione che ne fornisce l’enciclopedia Wikipedia: “Si definisce obiezione di coscienza il rifiuto di assolvere a un obbligo di legge gli effetti del cui espletamento si ritengano contrari alle proprie convinzioni ideologiche, morali o religiose. Colui che pratica tale opzione si chiama "obiettore di coscienza". Caratteristica saliente dell’obiezione di coscienza è l’assunzione in prima persona delle conseguenze civili e penali che derivano dall’obiezione”. Io che ho un’età tale da ricordare che per sostituire il militare con un anno di servizio civile si poteva “obiettare”. Ricordo anche che l’obiezione portava delle conseguenze, anche gravi. Ricordo l’impossibilità di partecipare ai concorsi per essere assunti in polizia o nei carabinieri o a richiedere il porto d’armi. Insomma era una scelta che ti segnava, che prevedeva delle conseguenze. Ecco perché storco il naso quando sento i medici parlare di obiezione di coscienza. Se un medico obietta sull’erogazione di determinate prestazioni mediche previste per legge, che cosa rischia? Quali sono le conseguenze che è disposto a sopportare per dimostrare la reale convinzione della sua scelta? Nulla! Anzi vale il contrario; se un medico si dichiara obiettore trova più facilmente lavoro o è favorito nella carriera. Risulta dalle cronache che sono stati scoperti medici che erogavano privatamente quelle prestazioni per cui avevano obiettato in ospedali pubblici. È automatico essere indotti a pensare che, per la maggior parte, si tratta di false obiezioni, dichiarate per motivi di convenienza. Tanto cos’hanno da perdere?
Ciliegina sulla torta è la notizia che anche i farmacisti rivendicano, al pari dei medici, il diritto di obiezione alla vendita di determinati farmaci. Per loro vale la stessa riflessione fatta per i medici; che cosa ci rimettono? Come intendono “risarcire” la società civile dal danno che provoca la loro scelta? È dunque stabilito per definizione che in assenza di conseguenze in prima persona derivanti dall’esercizio dell’obiezione il termine “obiezione di coscienza” è improprio, a mio avviso usurpato.
Signori medici e farmacisti, o vi inventate una nuova definizione senza svalutare quella originale, o accettate di pagare delle conseguenze in prima persona. Per me un medico che non eroga tutte le prestazioni mediche previste per legge non dovrebbe fare il medico. Per me un farmacista che non vende tutti i presidi sanitari autorizzati per legge non può fare il farmacista. Se la loro coscienza non gli consente di erogare tutte le prestazioni che prevede la legge avrebbero dovuto mettere in preventivo l’opportunità di fare un altro mestiere.
Non posso che concordare su tutta la linea.
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