Dobbiamo riflettere su chi si permette di scrivere di tutto e di tutti senza pensare alla loro sofferenza.
A dire queste parole, giustissime ovviamente, è stato il Vescovo di Cremona, Dante Lanfranconi.
Come per le bestemmie, che vanno contestualizzate (Fisichella docet), anche per le belle frasi occorre verificarne il contesto al fine di giudicarne correttamente il peso.
La frase pronunciata è una stoccata, all'interno dell'omelia, del Vescovo cremonese ai mass media, rei di non aver avuto rispetto della sofferenza di Don Sergio Recanati, prete suicida per non aver retto alla vergogna di essere sotto accusa, purtroppo fin troppo ben supportata dai video della trasmissione "Le Iene", per molestie sessuali.
Ecco, verrebbe voglia di invitare il Vescovo a riflettere sul fatto che il dramma insito nella molestia sessuale non è di chi lo compie ma di chi lo subisce, motivo per cui forse, dico forse, la caritatevole comprensione cristiana andrebbe indirizzata alle vittime di Don Sergio, il quale per altro non solo si è macchiato di azioni ripugnanti su coloro che da lui cercavano consiglio spirituale, pur avendo giurato castità, ma è persino morto suicida sotto un treno mettendo a repentaglio la vita altrui. C'è poco, quindi, da aver rispetto per chi non ha avuto né rispetto della vita altrui, né della propria e, ad altri stabilire quale delle due è causa dell'altra.
A dirla tutta verrebbe anche da chiedere al Vescovo quale significato si debba intendere quando dice:
(...) gli uomini giudicano, Dio perdona. E’ in questo passaggio che si esprime in tutta la sua verità.
Perchè stranamente questo dio giudica tutti tranne i suoi adepti, quelli li perdona amorevolmente; vieta questo e quello, ma se ad abusare è un suo adepto allora va compreso, giustificato, semmai contestualizzato e se il caso persino compianto.
Assai simile per tipologia di ragionamento quello espresso da Paola Binetti, la deputata teodem attualmente nelle file dell'UDC la quale, sprezzante delle sensibilità e delle sofferenze altrui ribadisce all'invito della Radicale Rita Bernardini ad una riflessione sull'eutanasia dopo il suicidio del grande regista Mario Monicelli, con queste parole:
Basta, per piacere, con spot a favore dell'eutanasia partendo da episodi di uomini disperati, perché Monicelli era stato lasciato solo da famiglia e amici ed il suo è un gesto tremendo di solitudine non di libertà.
La Binetti rivela in queste poche righe tutta la sua pochezza intellettuale ed umana, perché lei, più ancora della Bernardini ha usato il dramma come pretesto (la Bernardini chiedeva una riflessione, non altro), per potersi stracciare le vesti con il solito vomitevole vittimismo, tra l'altro gettando fango e veleno per supportare le sue tesi.
E bastava una breve ricerca per scoprire che a sbugiardarla sarebbero bastate le stesse parole di Monicelli, il quale non era stato abbandonato, ma aveva scelto la solitudine:
Per rimanere vivo il più a lungo possibile. L'amore delle donne, parenti, figlie, mogli, amanti, è molto pericoloso. La donna è infermiera nell'animo, e, se ha vicino un vecchio, è sempre pronta ad interpretare ogni suo desiderio, a correre a portargli quello di cui ha bisogno. Così piano piano questo vecchio non fa più niente, rimane in poltrona, non si muove più e diventa un vecchio rincoglionito. Se invece il vecchio è costretto a farsi le cose da solo, rifarsi il letto, uscire, accendere dei fornelli, qualche volta bruciarsi, va avanti dieci anni di più.
Ma quel "rimanere vivo il più a lungo possibile" era nelle sue intenzioni vincolato ad concetto di "vita dignitosa" ove il "dignitosa" deve assumere giocoforza un valore soggettivo. Non si può davvero pensare , nonostante i numerosi sforzi in tal senso profusi dalla chiesa nell'arco dei suoi due millenni di storia, di imporre come oggettive cose del tutto soggettive. La dignità è una di queste, che sebbene vi siano dei limiti oggettivi all'interno dei quali essa sussiste, ognuno di noi la concepisce con sfumature diverse, in special modo quando si parla di dignità personale.
Ecco, ad esempio io non trovo dignitoso per la mia persona, ed anzi lo considero cosa da malati mentali, l'autoinfliggersi dolore per sentirsi più vicini ad un'ipotetica divinità. La Binetti invece, quando indossa il suo cilicio, lo considera probabilmente una pia forma di devozione.
Si faccia pure del male, se la sua sanità mentale lo considera giusto, ma perdio (è proprio il caso di dirlo), non imponga la sua dignità a chi la trova vergognosa o al meglio la irride.
2 commenti:
E' sempre un piacere leggerti, bel post.
Grazie Skeptic: è un periodo che sono un po' caustico, a volte ho persino il dubbio (neanche più di tanto a dire il vero) di stare esagerando...
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