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sabato 22 ottobre 2011

Sic transit gloria mundi? - parte 2


let him not vow to walk in the dark, 
who has not seen the nightfall


Gioire della morte altrui: comprensibile? Giustificabile?
La risposta non può non essere che "dipende".
Facendo i moralisti, ovvero innalzandoci ad un livello ideale e quindi non prettamente umano, bisognerebbe affermare che no, non può essere comprensibile né giustificabile. Ma le situazioni ideali non si confanno alle cose terrene e quindi, già per questo, la gioia per la morte di un nemico, soprattutto se privo di onore, non può che essere comprensibile. 
La giustificabilità invece, è tutta da considerare.
Sicuramente non sono moralmente comprensibili, né giustificabili, in sostanza non si possono accettare, i doppiogiochismi di alcuni esponenti della politica, mondiale e nostrana, come i già citati (nel precedente post), ministri italiani. 
In politica e soprattutto in diplomazia la menzogna è infatti comprensibile, persino giustificabile, giacché il fine può e deve, se è il caso, giustificare i mezzi. 
A patto però che il fine non sia, come nel caso dei nostri politici, quello di saltare all'ultimo sul carro dei vincitori: altrimenti invece che salirci, sul carro, si finisce per rimanerci attaccati. Come somari.
Ma siamo così certi che determinati comportamenti, quelli che noi definiamo "barbari", siano poi così incomprensibili se non addirittura giustificabili?
Siamo certi che decenni di violenze, soprusi, assassini, possano evaporare al solo vedere il responsabile catturato?
Dipende da quello che io definisco "Stato di Normalità", in sostanza, dall'ambiente in cui noi siamo immersi, nel quale e in base al quale noi  esprimiamo giudizi.
Apparentemente è un concetto difficile, ma sono convinto che con un rapido esempio di rendere tutto più chiaro.
Nel giudicare un azione violenta, ad esempio le conseguenza di azioni in teatri di guerra, il nostro giudizio verrà totalmente influenzato dal nostro stato di normalità. Per il borghese che vede la notizia, nel suo pacifico ambiente domestico, fatto di poltrone, librerie , figli da accudire, lavoro, il vedere un video dove un soldato USA esulta per aver centrato un terrorista con in mano un bazooka, che poi si scoprirà essere giornalista con in mano una telecamera, provoca un senso di repulsione e di orrore e un giudizio di assoluta condanna.
Per i compagni del soldato che da mesi vivono nella costante tensione di saltare per aria, che magari hanno visto loro commilitoni rimandati a casa in casse di legno, probabilmente dopo averne visto le carni dilaniate viscere e arti spappolati, magari dopo averne ascoltato l'agonia o averne odorato il puzzo della morte, l'errore commesso rimane un errore, statisticamente possibile e assolutamente giustificabile.

Ora rapportiamo tutto al recente caso libico.
Dalla propria casa, immersi in uno stato di normalità che si può definire normalizzato, dinnanzi a un computer  o ad un Led 50 pollici le immagini della violenza perpetrata sull'esecrato dittatore, lo scherno, e infine lo scempio sul cadavere e le foto ricordo, appaiono come violenze eccessive, gratuite, quasi bestiali.
Ma provate ad immaginarvi per un attimo di essere in un paese semi desertico, ove la ricchezza della nazione è stata scippata al popolo (e quindi a voi) e raggruppata nelle mani di pochi oligarchi di una tribù avversaria e della famiglia del dittatore, il quale non ha lesinato metodi brutali, per sopprimere ogni tentativo non solo di rivolta, ma persino di protesta. Immaginatevi quindi poveri, con magari qualche parente ingiustamente imprigionato od ucciso di cui magari non avete neppure avuto il conforto di una salma da piangere.
Improvvisamente monta la rivolta, vengono consegnati  armi e munizioni, anche a voi, vi viene detto che probabilmente la libertà e un futuro migliore è alle porte ma il tutto dovrà essere conquistato con il sangue. Giunto al fronte, sparate e uccidete. Di fianco a voi amici nuovi e vecchi, parenti o finanche fratelli vengono feriti , mutilati o uccisi. Poi il nemico contrattacca le cose si fanno difficili, disperate, ma alla fine grazie ad aiuti esterni il nemico è costretto a ritirarsi, lasciandosi dietro una lugubre scia di cadaveri.
In quelle stesse strade che olezzano di polvere da sparo, di sudore, di piscio e di morte vi è gente che ti accoglie come un eroe, in trionfo
Arriva la battaglia decisiva, alle porte dell'ultima città in mano ai nemici.
Si dice che Gheddafi sia lì.
Ancora morti, ancora feriti. Ancora sangue.
E poi d'un tratto te lo trovi davanti, il Colonnello, quello che nemmeno tre mesi fa era il padrone della sorte tua e di tutto il popolo. Non fa nemmeno paura, è un vecchio impaurito. Tanta povertà, tanta ingiustizia, tanto sangue, tanti mutilati, tanti morti, solo per quel vecchio che non ha nemmeno la dignità di affrontare te e i tuoi compagni con un minimo di onore. Cerca di comprarti, tu che hai vissuto nella miseria e che hai visto il lusso della sua casa dopo aver combattuto per conquistarla, dove ogni drappo, ogni ornamento che hai visto sapevi essere pane rubato alla bocca del popolo, alla tua.

Siamo davvero convinti che un uomo, immerso nel dolore, nella rabbia, nella violenza, magari anche sospinto da un fanatismo religioso che ha trovato terreno fertile nella sua povertà ed ignoranza, di cui comunque non ha colpa, possa in quel momento contenere l'adrenalina, l'esaltazione e pensare a salvaguardare quella che comunque sia, per quanto ignobile, è pur sempre una vita umana?

O piuttosto non è comprensibile che la mente umana per non impazzire in mezzo a quel orrore abbia attuato una forma di autodifesa, rendendo l'orrore normale e allontanando quindi ciò che intimamente si considera sbagliato e finanche tabù?

Io dalla tastiera del mio personal computer, non fatico tanto a comprendere la gioia di costoro né i loro atti che tanto paiono bestiali. Forse dopo aver visto con i miei occhi una guerra civile, averne sentito i miasmi, udito i suoni, toccato le piaghe, a dir il vero non fatico neppure a trovar loro giustificazioni.
Semmai ciò che per mera fortuna mi resta ancora difficile, è accettare.


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