Ad Expando

lunedì 15 marzo 1993

Jalalaqsi


Un teschio 
E’ il tuo volto riflesso, 
Jalalaqsi, 
Nello stagno spettrale 
Di questo cielo, 
Dove ho affogato l’anima. 


Jowhar, marzo 1993





lunedì 1 marzo 1993

Africa


Africa
(poesia per una trovatella)

Ho guardato in volto
la mia paura
nei sorrisi dei bambini
malati,  innocenti
 vittime del destino

Ho guardato in volto 
la mia speranza
e ho visto te, Cecilia
fragile soffio 
palpitante di vita

Ho percepito i pensieri,
gli sguardi.
Ho visto guerrieri 
tra le braccia cullarti.

Ho visto il volto 
del mio volto di uomo
nei tuoi occhi: il sogno
che credevo perduto

Jowhaar, Marzo 1993



Appunti di Viaggio
Scrissi questo componimento nel 1993 nell'ambito dell'operazione militare, cosiddetta di pace, denominata IBIS, in terra somala; più precisamente a Jowhaar, località conosciuta nelle vecchie mappe come Villaggio Duca degli Abruzzi, a una novantina di km dalla martoriata capitale Muqdisho, lungo la Strada Imperiale costruita durante la dominazione Fascista. Qualche giorno prima prima di spostarci a Jowhaar il campo ospedaliero (ero infermiere militare) era allocato a Jalalaqsi, un agglomerato di capanne in un punto indefinito tra la savana, deserto e le brune rive del fiume Leopardo; Webi Shabeelie nella lingua locale. Una mattina alcune donne indigene affidarono un fagottino alle Crocerossine che operavano con il reparto; avvolta negli stracci vi era una piccola frugoletta, probabilmente abbandonata a causa della malaria che la stava devastando. Amorevolmente curata, la piccola fortunatamente (è il caso di dirlo) si riprese, sebbene fu subito chiaro che i nervi ottici erano stati irrimediabilmente danneggiati dai picchi della febbre malarica. La piccola fu adottata dal reparto e gli fu dato il nome di Cecilia. 
Non fu mai del tutto chiaro se fossimo stati noi a curare la piccola o la piccola a curare noi. In genere gli infanti morivano o perchè giunti troppo tardi, o perchè colpiti da più malattie contemporaneamente, o perchè comunque povertà, fame e sete avevano già pesantemente minato la loro resistenza. Dapprima la morte ti devasta, poi ti ci abitui, diventa routine. Cecilia, fu come un alba dopo una notte troppo lunga, ci rese il significato della vita e ridiede un senso al lavoro di chi come me, vedeva come risultato di ogni sforzo, null'altro che il dare qualche attimo in più ad un condannato a morte.
Stilisticamente non la trovo un granché, ma sono molto affezionato a queste poche righe: per me è come aver preservato un po' di lei, e con lei un po' di me.

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